Dieci giorni, dieci novelle al giorno, dieci ballate, dieci “concorrenti”, dieci “vincitori”
Sette ragazze e tre ragazzi dai diciotto ai ventotto anni si allontanano dalla città e si ritirano in una splendida villa di campagna per dimenticare, tra danze, racconti e abbuffate, le difficoltà della vita reale.
Detto così sembra un moderno reality show, ma la città è Firenze, l’anno è il 1348, e i ragazzi hanno nomi antichi: Filomena, Neifile, Panfilo, Dioneo.
Eppure, ciò di cui ridono, piangono e discutono è modernissimo: amori traditi e gelosie, flirt passeggeri e matrimoni difficili, spie e travestimenti, corse contro il tempo…
I toni sembrano svagati, leggeri, persino sfacciati, ma il sorriso maschera la paura di un male serpeggiante, contagioso, infido.
È la peste del 1348.
Ma questa tensione, questa quarantena ilare, queste compagnie forzate, alla ricerca di svaghi attraverso storie di fantasia, serie tv, racconti onirici e desideri di fuga, appartengono ad anni ancora vicinissimi a noi.
Ecco perché è attuale e utile leggere il Decameron a scuola, ancor più attraverso questa nostra edizione, rinnovata, dopo la prima fortunatissima del 2008 che ha girato per le mani di decine di migliaia di studenti in tutta Italia.
Non è un caso che nel corso della pandemia il «New York Times» abbia battezzato Decameron Project la raccolta di racconti di ventinove grandi scrittori. Il lancio dell’iniziativa recitava così: “Quando la realtà è difficile da decifrare, solo il racconto è capace di darle senso”.
Anche la nostra realtà quotidiana è difficile da capire, sempre. Dopo e forse più ancora della commedia divina di Dante, è la commedia umana di Boccaccio ad esserne lo specchio più vero e più divertente anche. E leggerlo – anche e soprattutto a scuola – può servire davvero a trovare un senso.
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